Natale di Roma

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#artiebellezzeitaliane Photo by  Massimo Gaudio Lupa Capitolina Buon compleanno Roma Secondo la leggenda narrata dal letterato Marco Terenzio Varrone durante l'età imperiale ai tempi di Giulio Cesare, il 21 aprile del 753 a.C. sarebbe il giorno in cui Roma venne fondata da Romolo. Da lì in poi questo giorno è stato preso come riferimento per il calcolo degli anni con l'espressione latina Ab Urbe condita , ovvero da quando la città è stata fondata . Nei secoli seguenti, sopratutto dopo la caduta dell'impero romano, questa festività andò pian piano a scomparire, ma venne ripristinata e festeggiata nell'epoca risorgimentale, sopratutto dai mazziniani e garibaldini che da poco avevano proclamato la Repubblica Romana. La Lupa Capitolina è il simbolo della Capitale e chi meglio dei Musei Capitolini è in grado di descrivere una delle opere più rappresentative di Roma?  Sistemata al centro della sala - dove Aldrovandi la ricorda nel XVI secolo "in una loggia coperta ch

Tiziano Vecellio alla Galleria Borghese

 #artiebellezzeitaliane

Photo by Massimo Gaudio

Sala di Psiche

La Sala di Psiche chiamata anche dell'Orizzonte per via dei dipinti che una volta erano presenti nella Sala dell'artista fiammingo Jan Franz van Bloemen (Anversa 1662 - Roma 1749) chiamato appunto l'Orizzonte, raccoglie vari dipinti di artisti veneti tra i quali emergono quattro tele di Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1488/1490 - Venezia 1576). La prima è Amor Sacro e Amor Profano, sicuramente una delle opere più conosciute dell'artista, tanto da essere utilizzata per le uniche banconote da 20.000 Lire stampate dalla banca d'Italia.




Amor Sacro e Amor Profano

Tiziano Vecellio, Amor Sacro e Amor Profano (1515ca) Galleria Borghese - Roma

La tela dal titolo Amor Sacro e Amor Profano che ha delle misure considerevoli (118 x 279 cm), è stata realizzata intorno al 1515, molto probabilmente commissionata dal Segretario del Consiglio dei Dieci, Niccolò Aurelio in occasione del suo matrimonio con Laura Bagarotto, la cui impresa araldica compare sul fondo del bacile d’argento appoggiato sopra il sarcofago, mentre lo stemma dello sposo è scolpito sul frote del sarcofago. Che si tratti di un dipinto incentrato sul loro matrimonio è sottolineato da vari simboli che Tiziano vi ha inserito, come ad esempio la coroncina di mirto e la fibbia indossata dalla fanciulla a sinistra. Quella di destra che sembra avere le stesse sembianze è, in contrapposizione a quella di sinistra, nuda e la guarda tenendo in mano una lampada con una fiamma che la identifica come Venere. Tra le due si trova Cupido intento a mescolare l'acqua all'interno del sarcofago, inoltre le fanciulle rappresentano la sposa da una parte raffigurata vestita dove si conferma la sua dignità sociale, e dall'altra raffigurata nuda e ardente di amore per lo sposo.










Venere che benda Amore

Tiziano Vecellio, Venere che benda Amore (1565) - Galleria Borghese - Roma


Il secondo dipinto di Tiziano è intitolato Venere che benda Amore del 1565 ed è un olio su tela che misura 116 x 184 cm.
L'artista in questo splendido dipinto ha saputo rendere la scena elegante e molto ben curata. Sulla sinistra si vede Venere che benda Amore poggiato sul suo grembo nel mentre guarda da qualche parte fuori dalla scena. Alle sue spalle è poggiato un'altro putto che assiste con interesse al bendaggio, mentre le due donne a destra sembra si stiano avvicinando per portare l'una un arco e l'altra la faretra con le frecce. Sullo sfondo si vede un paesaggio con montagne sovrastate da un cielo minaccioso ed infuocato tipico del tardo pomeriggio che però lascia presagire qualcosa di poco bello.





Cristo flagellato

Tiziano Vecellio, Cristo flegellato (1560)

Il Cristo flagellato risale all'ultimo periodo artistico di Tiziano (1560). Nell'olio su tela che misura 87 x 62,5 cm, l'artista enfatizza la drammaticità espressiva del Cristo legato alla colonna con toni scuri ed in alcuni punti i tratti risultano poco delineati. La luce che corre su parte del corpo martoriato e sofferente tanto da preannunciare l'inevitabile epilogo, porta lo sguardo sul volto che risalta sullo sfondo scuro in modo chiaro e ben definito rispetto al resto del dipinto, dove lo sguardo è rivolto verso l'alto come volesse comunicare con colui che lo avrebbe accolto a breve. 
Com'è successo per le altre opere di Tiziano, anche di questa non si hanno notizie certe del suo ingresso all'interno della Collezione, di sicuro è citato nell'invertario del cardinale Scipione Borghese del 1615-1630.


San Domenico

Tiziano Vecellio, San Domenico (1565)

La notizia certa sull'ingresso nella Collezione Borghese del San Domenico, è il suo lascito da parte del cardinale Girolamo Bernerio del 1611 a favore del cardinale Scipione Borghese. Come la precedente anche questa fa parte dell'ultimo periodo stilistico dell'artista (1565). Nell'olio su tela che misura 97 x 80 cm, Tiziano ha raffigurato il santo che emerge dallo sfondo scuro, ma non nero, dove viene evidenziata la sua figura nel cosueto abito dei frati predicatori formato da una tonaca bianca ed un mantello con cappuccio nero. Un raggio di luce proveniente di lato, oltre l'abito illumina il suo volto e la mano che ha l'indice rivolto verso l'alto.

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